Cosa c'entrano i pagliai di Monet con i flash usati in fotografia?

Alcune considerazioni sulla pazienza di osservare la luce

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Attorno al 1890 il pittore francese Claude Monet realizza, nella campagna circostante Giverny, una lunga serie di tele intitolata "Pagliai".
Ripresi in diversi momenti dell'anno ed in diverse ore del giorno, i soggetti appaiono poco più che spunti o pretesti per il vero interesse di Monet: studiare la luce del sole.
Tutti gli scorci includono, oltre ai pagliai, anche una parte di campo in primo piano, lo sfondo ed il cielo, così da poter osservare e riportare il comportamento della luce in tutto il complesso dello spazio, ivi incluse le ombre e gli effetti dell'aria.1

I pennelli di Monet non si occupano dei dettagli oggettuali, limitandosi a segnare, con sapienza ed esperienza, la traccia di questo o quell'elemento, che sia una zolla erbosa in primo piano, un filare d'alberi oppure un monte in distanza; tutta l'attenzione è costantemente fissa sul senso che la luce crea nella scena.

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Claude Monet - Dipinto dalla serie dei Pagliai
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L'evoluzione della fotografia e dei flash

Fotografo con lampo al magnesio
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Ritratto in studio negli ultimi decenni dell'800. Si notino la "fiamma" al magnesio e lo specchio posto a sinistra per rischiarare il lato in ombra.

Nei medesimi anni dell'800 la tecnica fotografica si sviluppa progressivamente.
Fra i diversi problemi cui ancora trovare una soluzione ne rimane uno di rilievo fondamentale: come produrre fotografie in mancanza di sufficiente luce naturale.

Allora (come adesso) le possibilità a disposizione erano due:

  • una luce continua, di origine artificiale ma fondamentalmente adoperabile come fosse la luce naturale del sole;
  • una luce lampo molto brillante, che si sprigionava solo nell'attimo in cui l'obiettivo era aperto.

Ognuna delle due possibilità aveva pregi e difetti ma il lampo (in inglese "flash", in tedesco "Blitz") fu subito preferito dai fotografi, per i quali un'illuminazione continua non era di norma necessaria.

Già alla metà del XIX secolo uno dei padri della fotografia, Fox Talbot, compie degli esperimenti per fotografare oggetti in movimento illuminando la scena con una forte "scintilla". Ma la strada è ancora lunga.

I fotografi si assestano su un sistema che sfrutta la polvere di magnesio, un metallo altamente infiammabile, per generare un lampo di luce bianca molto intensa: si tratta di una specie di piccolo "fuoco artificiale" da studio, difficilmente controllabile e piuttosto rischioso da adoperare.
È evidente come, pur essendo le fotografia dipendente dalla luce ancor più che la pittura, gli ostacoli tecnici non permettessero in quegli anni ai fotografi di dedicare una completa attenzione ai problemi estetici che assorbivano invece i loro colleghi pittori.

Lampadina flash
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© Steve Harwood

I decenni seguenti vedono una serie di rapidi avanzamenti che portano all'affermarsi di strumenti d'illuminazione fotografica sempre più affidabili e controllabili.

Dapprima nascono le lampadine flash in cui sottili fili di magnesio sono contenuti all'interno di solidi bulbi in vetro. Si tratta di un sistema parzialmente "usa e getta", da ricaricare dopo ogni singolo scatto: la lampadina viene inserita a baionetta nella parabola e una volta "bruciata" è da sostituire.

Successivamente si passa al lampo elettronico, che segna una vera rivoluzione nell'illuminazione fotografica.

Oggidì i sistemi flash si affidano a lampade allo xeno controllate elettronicamente.
Si tratta di soluzioni pratiche, sicure, maneggevoli ed efficienti.2
I flash attuali si mettono comodamente in borsa, sono adatti anche a sequenze di scatti molto ravvicinati, funzionano con un modesta quantità di energia e sono controllabili anche a distanza.

Il flash è interessante perché il lampo sprigiona molta luce solo nell'attimo dello scatto, limitando così il consumo di energia.3

La fotografia digitale

Con il nuovo millennio la fotografia analogica cede il passo al digitale, che si diffonde rapidamente ovunque.
Rispetto alla classica fotografia su pellicola, la fotografia digitale si dimostra particolarmente adatta all'illuminazione lampo, per almeno tre ragioni:

  • la visione immediata del risultato, altrimenti difficilmente prevedibile;
  • il formato spesso ridotto dei sensori, che necessita di meno luce rispetto a formati più grandi;
  • la grande sensibilità alla luce dei sensori digitali, che non richiedono forte illuminazione;

Unita alla compattezza dei flash, il digitale permette di ottenere risultati validi pur mantenendo le apparecchiature al minimo sia come ingombri che come costi.
Basta un pezzo di nastro adesivo telato per posizionare un flash praticamente ovunque ed illuminare una scena nei modi più diversi.

La possibilità pratica di ricreare pressoché qualsiasi effetto di luce per mezzo di piccoli ed economici flash stimola, di ritorno, un'attento e cosciente studio della luce naturale, la pazienza di osservare la quale si rivela quindi molto utile in fotografia.

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1 Progetti analoghi verranno intrapresi da Monet anche più avanti, ad esempio il ciclo delle Cattedrali di Rouen, con più di cinquanta dipinti eseguiti tra il 1892 e il 1894.

2 Nel caso di sistemi che richiedono poca luce e potenze molto limitate, ad esempio i telefoni cellulari, si adopera anche la tecnologia a Led.

3 Per contro i lampeggiatori si possono adoperare solo in fotografia, mentre risultano del tutto inutili per riprese video. Per questo, in un futuro prevedibile, magari con l'utilizzo di led ad alta intensità e bassissimo consumo, si potranno trovare alternative alla luce lampo. Ecco un esempio dei primi prototipi di luce "mista" lampo/continua: il LED Light Cube.

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