Kaveh Golestan e i bordelli di Tehran

Si chiamava Shahr-e-No il distretto a luci rosse cui il mitico fotoreporter iraniano ha dedicato un lavoro di testimonianza

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Kaveh Golestan
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Kaveh Golestan

Non sappiamo chi ha fabbricato quella mina antiuomo che, il 2 aprile 2003 ha ucciso Kaveh Golestan mentre faceva il suo lavoro di reportage per la BBC.

Certo, storicamente l'operoso e (sedicente) virtuoso nord dell'Italia ha il deplorevole primato per la produzione di mine terrestri, quelle che nel mondo uccidono e lasciano mutilati più civili di ogni guerra, vecchi e bambini in testa, anche anni dopo che le guerre sono finite.
Serve forse scarsa coscienza e poca sensibilità all'aspetto umano del proprio lavoro, diremmo, per lavorare in certe fabbriche in provincia di Brescia...

E' invece con una coscienza ed un'attenzione speciale al lato umano, che Kaveh Golestan ha esplorato e testimoniato, negli anni '70, la vita nel quartiere a luci rosse di Tehran.
Dove, dicono certi, la morale non era in gran conto; ma forse sempre più che nelle fabbriche cui abbiamo accennato sopra, ci verrebbe da mormorare...


Kaveh Golestan apparteneva ad una famiglia particolare

Suo padre Ebrahim Golestan si dedica al cinema e vive in contatto con l'élite culturale letteraria. Il suo film Yek atash (Un fuoco), montato assieme alla poetessa Forough Farrokhzad, ottiene nel 1962 un premio al Festival del Cinema di Venezia.
Kaveh affianca il padre già da ragazzino e prende presto in mano la macchina fotografica, prediligendo le situazioni drammatiche.
La sorella di Kaveh si occupa della galleria d'arte di famiglia, scrive e traduce.
Kaveh cresce quindi con gli occhi aperti e la sensibilità ben sviluppata.


Il quartiere a luci rosse di Tehran

Le immagini del progetto "Shahr-e-No", un intrico di viuzze fetide adibite a bordello, elaborato da Golestan fra il '75 e il '77, sono in un bianco e nero crudo. Manca la violenza del colore e le forti, espressive elaborazioni che troviamo, sempre nel 1977, sulle inquietanti fotografie dei ragazzi rinchiusi nel manicomio Shahr-e Ray di Tehran, imbottiti di farmaci e legati ai letti, per terra, ai termosifoni, senza il minimo riguardo per le loro sofferenze.

E' la vita riportata in diretta, una testimonianza aperta di quanto ha trovato nel quartiere.
Scrive Golestan: "I problemi sociali, economici, igienici, di comportamento e psicologici che esistono nella società quotidiana sono presenti qui, e ingigantiti".

Pochi anni dopo, nel 1980, quel quartiere viene raso al suolo.

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Come Robert Capa

Kaveh Golestan prosegue con gli anni nella sua incessante testimonianza della "verità" in mezzo a guerre, rivolte, drammi di ogni genere.

Vince il prestigioso premio Pulitzer e gli viene assegnata la Medaglia d'Oro Robert Capa, in onore del grande fotografo di guerra ungherese, consegnata per "il miglior reportage fotografico dall'estero, per realizzare il quale siano stati necessari eccezionali doti di coraggio e intraprendenza".

La sorte forse lo aspettava qui.
Proprio come Robert Capa (saltato su una mina antiuomo, in Indocina, 50 anni prima) se n'è andato anche il coraggioso e mitico Kaveh Golestan.
Recita il breve epitaffio sulla sua lapide: "morto mentre documentava la verità".


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